Il forno a “tino” come quello di Ponte Zanano verso la fine del ‘400, era una massiccia torre quadrangolare alta fino a tre-quattro metri, costruita con blocchi di pietra e rivestita internamente con un impasto refrattario.
Nel tino venivano versati dall’apertura superiore (bocca), alternativamente, il minerale ed il carbone di legna. In basso (sacca) c’erano due aperture: una per farvi entrare l’aria prodotta dai mantici, l’altra per estrarre il minerale liquefatto nel crogiolo. Alla base si trovava il fuoco che doveva essere tenuto costantemente vivo.
La produttività del forno dipendeva in larga parte dalla potenza dei mantici che insufflavano l’aria per favorire la combustione: una maggiore e costante produzione di aria permetteva di raggiungere in più breve tempo le alte temperature richieste dalla fusione con risparmio di combustibile ed una resa maggiore che poteva raggiungere anche il 30-40%.
Questo risultato fu raggiunto applicando ai forni a tino dei mantici in coppia azionati da un albero a trasmissione collegato ad una ruota idraulica.
I mantici in uso fin verso il 1400 presentavano però un grave inconveniente: erano costruiti in cuoio (curame) che a causa del logorio si lacerava spesso causando frequenti interruzioni del ciclo di fusione.
Nei forni fusori delle valli bresciane e bergamasche i mantici in cuoio furono allora sostituiti da quelli costruiti interamente in legno, molto più resistenti all’usura e quindi più affidabili.
Solo nel primo ‘700 venne infine realizzata una innovazione che aumentò notevolmente il prodotto di metallo fuso: i vecchi mantici idraulici furono sostituiti dalla tromba idroeolica nella quale il “vento” è originato dalla caduta dell’acqua che corre all’interno di un canale verticale.
La fine del “famoso edificio colator del ferro”
Giovanni da Lezze, podestà veneto a Brescia nell’anno 1609, scrive: “Sarezzo commune con Zenano et Nobele.
Ha un forno di ferro al ponte di Zenano, nel quale luoco, per essere passo, anticamente vi era una Rocca ove la Valle manteneva un presidio contro li Gebellini”.
Luigi Baitelli, consultore di Stato della Repubblica Veneta, conferma che nel 1643, a Sarezzo, cioè al ponte di Zanano, c’è ancora il forno fusorio. Ma nel 1694, tra i forni attivi in Valle Trompia non è più menzionato quello di Ponte Zanano.
In una relazione economica del Comune di Sarezzo del 3 dicembre 1793, è scritto che “nella contrada di Zanano più non esiste il famoso edificio colator del ferro, altro non vi scorgendo che un ammasso di muri tendente all’ultimo crollo”.
Nel 1850, quando l’acqua del Mella uscita dall’alveo si precipitò lungo l’attuale vicolo Mella corrodendo ed asportando il terreno, “discoverse la base di un forno fusorio dismesso più di dugento anni addietro”.Tra le cause della cessata attività del forno possiamo ricordare:
– le frequenti sciagure (carestie, pestilenze, alluvioni) che nel Seicento colpirono duramente la nostra valle;
– la crescente difficoltà nell’approvvigionamento del carbone causata dal secolare sfruttamento dei boschi divenuti ormai spogli di legna;
– la pressione fiscale del governo veneto che aveva causato un lento ma costante declino della produzione mineraria ed una grave crisi del mercato delle ferrarezze.
La valle si avviò così verso una crisi inarrestabile che vedrà la chiusura di numerose miniere e l’inattività dei forni e delle fucine. R. Simoni, Per le contrade di Sarezzo.