Nel 1337 i Visconti di Milano si impadroniscono del territorio bresciano e viene proclamato signore di Brescia il ghibellino Azzone Visconti.
Una prima rivolta antiviscontea viene tentata dai Valtrumplini e dai Valsabbini che, guidati da un Avogadro di Zanano, scendono a Brescia, ma sono ben presto costretti a dileguarsi.
Nel 1385 Gian Galeazzo Visconti impone ai territori bresciani una radicale riorganizzazione legislativa ed amministrativa. Brescia stipula i “capitoli di sudditanza” in base ai quali la terra bresciana viene divisa in quattordici “quadre”.
La quadra di Valtrompia risulta composta da 11 comuni: Inzino, Le e Marchè, Zumo e Tabernolis, Lodrino, Marmentino, Pezazis, Herma, Bovegno, Collillibus, Seretio, Villa.
Alla morte di Gian Galeazzo Visconti (1402) riprendono le rivalità fra Guelfi e Ghibellini bresciani.
Ne approfitta Pandolfo Malatesta, signore di Fano, che, accordatosi con i Guelfi per scacciare i Ghibellini, si proclama Signore di Brescia.
Anche in questa circostanza Pietro Avogadro guidò le truppe che marciarono sulla città per dare manforte al Malatesta e scacciare i Ghibellini: “Grossi e minacciosi calavano que valligiani, si addensavan lor file, guidati dal loro “Avogadro”.
La vittoria arrise ai Guelfi e il Malatesta, in segno di riconoscenza, concesse a Pietro Avogadro “il luogo, terra, territorio et homini di Polaveno, con la giurisdizione, honor et pertinenze di detto in feudo et à suoi figli legitimi et discendenti”.
Nel 1420 Filippo Maria Visconti, volendo riprendersi Brescia, assoldò il capitano di ventura Francesco Bussone, detto Carmagnola, e lo spedì con le sue truppe verso la città. Pandolfo Malatesta fu costretto a fuggire ed i Visconti tornarono momentaneamente padroni del Bresciano. Intanto i Valtrumplini attendevano l’occasione propizia per insorgere.
Nel 1426, avuto sentore che la Repubblica Veneta stava per muovere le sue truppe contro i Visconti, si prepararono pure essi alla rivolta.
Ne fu promotore Pietro Avogadro che radunò tutti i volontari in Franciacorta (è la rivolta nota come “congiura di Gussago”). Le truppe di Venezia ed i congiurati bresciani entrarono in città, mentre gli ultimi soldati viscontei si asserragliavano sul castello.
Il 6 ottobre i bresciani, riuniti in San Pietro de Doro, giurarono fedeltà alla Repubblica Veneta. Tra coloro che pronunciarono il giuramento c’erano due valtrumpini: Achille Avogadro e Baldassare de Nassini. Lo scontro decisivo fra Venezia ed i Visconti avvenne presso Maclodio, il 15 ottobre 1427; nella battaglia il Piccinino perse molti soldati ed ufficiali e furono uccisi 2600 cavalli.
Vinte così le ultime resistenze, Venezia si affrettò a ricompensare i suoi alleati, primo fra tutti l’Avogadro di Zanano, al quale cedette l’intero feudo di Lumezzane.
Non solo. Venezia riconfermò ai valorosi valtrumplini tutti i privilegi che avevano ottenuto da Pandolfo Malatesta e li esentò da tante odiose imposizioni.
Nel 1438 ripresero gli scontri armati tra i Visconti e Venezia. Il Piccinino, al servizio dei Visconti, varcò il fiume Oglio, entrò nella Franciacorta e distrusse Monticelli, Rodengo, Ome, Polaveno, mentre i suoi soldati marciavano verso la città.
L’assalto contro Brescia iniziò il 13 dicembre: a più riprese i soldati si lanciavano contro le mura sbrecciate dalle bombarde, ma ogni volta venivano respinti. Il Piccinino ordinò alla fine un assalto alla città con l’aiuto di 500 cavalieri.
Fu allora che i bresciani tentarono l’ultima disperata resistenza. Dall’alto delle mura schiere di ragazzi e di donne riversavano sui nemici pece bollente, polvere accesa e fascine di legna in fiamme. In quella circostanza rifulse il coraggio di Brigida Avogadro, sposa di Pietro, che a capo di un gruppo di donne, lottò a lungo sulle mura della città.
Il Piccinino fu costretto alfine a levare l’assedio e si ritirò con le sue truppe nella campagna tra Ghedi e Palazzolo.
Nel dicembre 1439 riprese la marcia verso Brescia, ma non fece niente se non passare e “andò ad alloggiare quella sera a Rotingo e Saiano in Franzacurta, e cominciarono a cacciar fuoco per tutto. Abbruciarono tutto quanto Gussago e Cellatica.
Al dì 7 di dicembre ebbe la rocca di Rotingo, e fornilla di Fanteria, e quella di Monticelli, e corse Homi, Briò, San Vizilio, Navi; fino a Gardone abbruciando per tutto e rubando”.
Un ultimo tentativo di riconquistare Brescia i Visconti lo compirono nel 1446. Francesco Sforza, capo dell’esercito milanese, cinse d’assedio la città, ma incontrò la resistenza dei bresciani capeggiati da Pietro Avogadro.
Di lì a poco lo Sforza levò l’assedio e tornò a Milano per proclamarsi duca di quella città. Con la pace di Lodi (1454) la Repubblica di Venezia si assicurò il pieno dominio del nostro territorio per il quale ebbe inizio un cinquantennio di relativa tranquillità.
Venezia riconfermò alla Valletrompia gli antichi privilegi ed il doge Francesco Foscari, con ducale del 30 gennaio 1454, dichiarò la valle “terra separata”, cioè territorio che godeva di particolari vantaggi amministrativi e commerciali.
Per la sua fedeltà a Venezia, Pietro Avogadro venne insignito della stola d’oro; i nobili zananesi entrarono così a far parte della nobiltà veneta con il privilegio di partecipare, come altre poche famiglie bresciane, alla elezione del Doge.
Il grande vecchio, Pietro Avogadro, muore il 30 settembre 1474; di lui a Zanano rimane un ricordo inciso nella pietra: sullo stipite dell’ingresso di alcune antiche abitazioni si trovano scolpite le iniziali “P.A.”, ultima traccia di questo eroico Avogadro vissuto 500 anni fa. R. Simoni, Per le contrade di Sarezzo