I nobili Avogadro, che pure avevano possedimenti in numerose località del bresciano, preferirono sempre risiedere nel palazzo di Zanano “posto nell’aspra e rupestre valle che fu la culla della loro stirpe e il principio della gloria loro” .
L’edificio attuale è il risultato di molteplici manomissioni ed ampliamenti succedutisi nei secoli i quali, purtroppo, finirono anche per snaturare l’originaria struttura altomedievale del monumentale complesso.
Già dall’esterno si può osservare come il palazzo risulti composto da due corpi di fabbrica ben distinti: quello a nord, più antico, comprendente la casa-torre, conserva l’originaria struttura medievale nella quale le forme gotiche riescono a conciliarsi con quelle rinascimentali (si vedano le numerose finestre a sesto acuto). Il corpo a sud, di epoca più tarda, è anche quello più compromesso dagli ultimi interventi di ristrutturazione operati dal 1957 al 1965.
L’una e l’altra parte sono unite dal grande ingresso carraio costituito da un arco in pietra recante lo stemma degli Avogadro e sormontato da tre slanciate cuspidi piramidali.
Ai lati di questo ingresso sono collocate le due note lapidi romane.
Fino al 1957 l’ingresso principale era costituito da una piccola porta arcuata accostata alla facciata della chiesa che immetteva direttamente nel chiostro interno con al centro il pozzo.
L’ingresso più a nord, in prossimità della torre, introduce in un andito, le cui pareti sono costituite, come le basi della torre, da enormi massi squadrati. A destra ed a sinistra ci sono stanze con il soffitto a botte che un tempo dovevano fungere da deposito per gli attrezzi agricoli, da caneve e ripostigli. Sorprende lo spessore dei muri perimetrali ed interni che giunge a superare i due metri. L’insieme conserva l’aspetto rustico e severo delle residenze medievali preferite dalla antica nobiltà valligiana.
L’andito si apre poi su un ampio cortile con il brolo retrostante; il porticato è costituito da due grandi archi sorretti da tre colonne con leggiadri capitelli corinzi. La colonna centrale reca scolpito lo stemma degli Avogadro. Sopra il portico si apre una loggia rivolta a mezzogiorno con sette archi minori.
Una scala buia porta al piano superiore dove troviamo alcune sale interessanti sotto l’aspetto artistico. Il primo salone a destra con il soffitto a crociera conserva due pregevoli affreschi e numerose decorazioni. Il grande affresco a destra è quello più enigmatico e quindi variamente interpretato. C’è chi vi ha visto una schiera di gatti che vanno all’assedio della città dei topi; chi lo ritiene una allegoria della vita che trascorre serena all’interno del castello anche se all’esterno si aggirano minacciosi i nemici. Con tutta probabilità si tratta della rievocazione, in forma allegorica, di un episodio realmente accaduto in Valtrompia al tempo delle lotte fra Guelfi e Ghibellini.
Il dipinto, databile tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400, rappresenta due turriti castelli, uno sulla destra in primo piano, posto a fondo valle tra due speroni rocciosi che si incontrano alla base; l’altro collocato sulla montagna che fa da sfondo. È esattamente questo lo scenario orografico che si presenta a chi, salendo da Sarezzo, rivolge lo sguardo a nord: il castello in primo piano sulla destra è la fortificazione guelfa che si trovava al ponte di Zanano, il castello di Testaforte; mentre il castello sullo sfondo, collocato sulla montagna, è quello che si trovava sopra Gardone Val Trompia in località S. Rocco.
Dal primo castello esce una schiera di Orsi neri, armati di lance ed eretti come soldati, preceduti da quattro trombettieri e dalle insegne che recano la caratteristica figura del giglio di Firenze, emblema degli Avogadro del Giglio. Una seconda schiera di Orsi bianchi, anch’ essi armati, discende la valle diretta contro gli Orsi neri. Vi sono poi alcuni Orsi isolati che sembrano rincorrersi.
Un’attenta lettura del dipinto fa pensare che l’ignoto autore abbia voluto raffigurare uno scontro armato avvenuto in valle fra i soldati guelfi (Orsi neri) attestati presso il castello di Testaforte ed i soldati ghibellini (gli Orsi bianchi) che discendono dal castello sopra Gardone. Lo scontro, capeggiato quasi sicuramente da un Avogadro, vuole celebrare la vittoria degli Orsi neri, i Guelfi valtrumplini, contro i Ghibellini.
Sulla parete nord è dipinta una suggestiva Madonna seduta in trono, con in grembo il Bambino che alza la mano nel segno benedicente. Alla sua sinistra una Santa in piedi con la mano alzata che stringe una freccia ed, ai piedi, quattro fanciulle oranti, in ginocchio.
A destra S. Martino Vescovo che stringe il pastorale, mentre poggia la mano sinistra sulla nuca di un personaggio calvo, inginocchiato, con al fianco due giovinetti biondi ed un cagnolino. L’uomo dovrebbe essere il committente del dipinto.
In alto si scorge una scritta in caratteri gotici poco leggibile ed una data: 1430. Il resto delle pareri è decorato a scacchi romboidali in bianco e nero variamente decorati. Una portafinestra si apre su un balconcino, che dà su via Gremone, recentemente restaurato.
Le rimanenti quattro sale hanno tutte un bel soffitto in legno sorretto da massicce travi decorate con motivi floreali. La stanza centrale ha un maestoso caminetto in pietra.
Anche la sala più a sud conserva sulla parete sinistra un affresco che ritrae San Girolamo in abiti cardinalizi, seduto su un trono di pietra, mentre legge un foglio srotolato. Sui capitelli del trono sono dipinti due leoni che sorreggono tra le zampe lo stemma degli Avogadro.
Il dipinto è datato: 1474-die 27 dicembre.
Queste date, insieme ad alcuni particolari architettonici tipicamente veneziani, ci dicono che il palazzo subì significativi miglioramenti nella prima metà del ‘400. Pietro Avogadro, investito della contea di Polaveno nel 1409 e del feudo di Lumezzane nel 1427. insignito del titolo di patrizio veneto,volle probabilmente ridare prestigio anche alla sua dimora: nelle sale furono dipinti gli affreschi che celebravano le glorie della nobile famiglia; nel palazzo e nel paese si diffuse lo stemma araldico.
In seguito, per molto tempo non vennero apportate sostanziali modifiche. Anche gli Avogadro conobbero le sventure, gli anni della ristrettezza, se non della povertà, così che sovente furono costretti ad alienare parte del loro patrimonio. Riuscirono però a conservare e tramandare ai posteri la loro dimora, dove nell’800, trovarono rifugio poveri, malati e mendicanti, assistiti dal dottore Orazio Avogadro.
Alla fine dello stesso secolo i due ultimi Avogadro, Vincenzo e Giacomo, sacerdoti, donarono il palazzo alle suore Ancelle della Carità, perché potesse continuare la sua secolare storia al servizio della comunità zananese. R. Simoni, Per le contrade di Sarezzo.