
Continuano gli eccessi meteo, causati dai cambiamenti climatici in corso, e dopo un Gennaio 2018 all’insegna di temperature notevolmente alte, più che primaverili, gli ultimi tre giorni di Febbraio 2018 e i primi giorni di Marzo 2018 hanno stretto tutta l’Italia in una morsa di neve e gelo di straordinaria portata, da record.
GELO! – Il 26,27 e 28 Febbraio 2018 e il 1° Marzo 2018, complice il vento gelido Buran (in russo: ????? burán) dall’Est Europa, le temperature sono drasticamente precipitate a valori negativi da record con punte di anche oltre -10° pure in pianura e massime difficilmente sopra la fatidica soglia dello zero.
Imbiancata da abbondanti nevicate tutta la Penisola da Nord a Sud, comprese Roma e località turistiche marine, da Venezia a Napoli passando da Rimini.
Nell’Appennino pistoiese la neve ha superato il metro, e sull’Abetone in paese la neve ha raggiunto l’altezza di un metro e 15 cm.
Alle gelate ed alle nevicate è poi seguito un considerevole e diffuso gelicidio che ha avviluppato nel ghiaccio città e natura.
Il termine del grande gelo di fine Febbraio inizio Marzo 2018, è stato poi avviato dai venti di Scirocco che, trasportando sabbia sahariana, hanno colorato di rosa l’atmosfera e la neve.

Il gelo di Febbraio e Marzo 2018 ricorda quello del metà Febbraio 1929 con -18° C, metà febbraio 1956 con -12° C, o della prima decade di Gennaio 1985 con – 23° C.
Il 12 gennaio 1985, complice il cielo sereno e l’effetto albedo, a Firenze-Peretola si raggiunsero i -23,2 °C compromettendo il 90% degli ulivi toscani. La sopportazione media delle piante al freddo va in via molto indicativa, afferma la Coldiretti, da –3 a –5 per gli agrumi, da -10 a -12 per kiwi e l’ulivo, da -16 a -18 per la vite, da –18 a -22 per ciliegio, albicocco e mandorlo, da -22 a-25 per pero e melo.

https://it.wikipedia.org/wiki/Ondata_di_freddo_del_gennaio_1985
https://it.wikipedia.org/wiki/Ondata_di_freddo_del_febbraio_2012
https://www.meteogiornale.it/notizia/5209-1-e-venne-il-grande-gelo-dettagliata-cronaca-del-gennaio-1985

Il freddo e l’olivo. Riflessioni sulle gelate di fine Febbraio 2018.
L’ondata di freddo eccezionale che ha interessato l’Europa e l’Italia offre lo spunto per parlare di una delle relazioni più “pericolose” nell’ambito dell’agro-meteorologia mediterranea: il rapporto difficile tra freddo e olivicoltura.
Iniziamo col dire che l’olivo è una pianta mediterranea e, per questo motivo, perfettamente adattata al clima omonimo, dove i veri fattori limitanti non sono di certo il freddo invernale e la neve, ma il caldo e la siccità estivi. La pianta di olivo, come le altre piante della macchia mediterranea (es. leccio, terebinto, corbezzolo, ecc.), si è “specializzata” nel resistere ai lunghi periodi con temperature elevate e assenza di piogge significative, “scoprendo il fianco” alle avversità che possono invece palesarsi nei mesi freddi. Se pensiamo al clima della nostra amata Foligno, posta nel cuore di una delle principali regioni olivicole italiane (ma che di certo ha inverni più freddi di Palermo e Siracusa), la scelta dell’olivo appare del tutto giustificata: tutti noi sappiamo (diamo per scontato) che la prossima estate avremo almeno due/tre mesi con molti giorni caldi, secchi, e temperature ben superiori ai +30°C, ma dobbiamo andare a spulciare negli annali meteorologici per trovare l’ultimo anno (1991) in cui sono state registrate temperature minime simili a quelle dello scorso mercoledì, quando in città si è scesi al di sotto dei -7°C e nei luoghi più bassi della valle Umbra si è sfiorata (e in alcuni casi superata) la soglia “fatidica” dei -10°C, che, come vedremo tra poco, rappresenta un “campanello dall’allarme” per l’olivo.

La tabella seguente riporta le temperatura minime registrate in valle Umbra la mattina del 28 febbraio 2018, come è possibile vedere i valori più bassi sono stati quelli delle zone di pianura in aperta campagna (fatta eccezione per la stazione di Pale, posizionata in una zona soggetta a inversione termica a quasi 500 metri di quota).
Tabella 1. Temperature minime registrate dalle stazioni meteo ufficiali e amatoriali il 28/2/2018 in valle Umbra.

Sebbene all’olivo non piaccia il gelo,è bene sottolineare come una certa quantità di freddo sia indispensabile per il corretto sviluppo della pianta. L’olivo, come la maggior parte delle piante delle zone temperate, ha bisogno infatti di soddisfare il cosiddetto “fabbisogno in freddo”, ovverosia deve passare un certo numero di ore – ogni inverno – al di sotto di una certa temperatura (fissata convenzionalmente in +7°C) per poter vegetare e, soprattutto, fruttificare in maniera corretta. Attenzione: una volta soddisfatto il fabbisogno in freddo la pianta non inizia a vegetare automaticamente! In caso di freddo tardivo, infatti, sarebbe danneggiata!
Diciamo che, soddisfatto il fabbisogno in freddo, la pianta è “pronta” a vegetare e lo fa non appena la temperatura risale stabilmente sopra una determinata soglia (in genere sopra i +15/+16°C per molti giorni di seguito).
Passare un determinato lasso di tempo a bassa temperatura costituisce, per la pianta, la “prova” che l’inverno è ormai alle spalle e che può quindi “rimettersi in moto” in vista della bella stagione. Tanto più la pianta in questione è tipica delle zone fredde e tanto maggiore sarà il tempo che deve passare al di sotto dei fatidici +7°C.
Alcune varietà di melo, ad esempio, hanno bisogno di 900 ore (l’equivalente di 38 giorni!) al di sotto dei +7°C per fiorire e vegetare correttamente, il mirtillo (pianta che vive in ambito alpino) addirittura di più di 1000 ore, questo perché la pianta di mirtillo si “aspetta” che l’inverno-tipo del clima montano dove si è sviluppata sia caratterizzato all’incirca da quel numero di ore di freddo. Ovviamente il fabbisogno in freddo delle piante mediterranee è molto minore e viene già soddisfatto all’inizio di gennaio: poche ore per il fico, 100 ore per il melograno, 100-250 ore per l’olivo e 250-500 per il mandorlo. Tutte queste piante, se piantumate in paesi tropicali, non produrrebbero mai frutti, perché per loro non arriverebbe mai il segnale che l’inverno è passato.

Ma torniamo a noi: quando il freddo, da fattore indispensabile per il corretto sviluppo della pianta, diventa una minaccia per le nostre stupende piante di olivo? Una risposta univoca non c’è, in quanto il danno da freddo dipende da molteplici fattori (che vedremo tra poco), ma se proprio dobbiamo “dare i numeri” si può affermare che temperature di -10/-12°C rappresentano un limite assoluto per l’olivo, anche se sono molteplici le variabili che possono entrare in gioco:
• Durata dell’esposizione alle basse temperature,
• Umidità dell’aria,
• Varietà ed età della pianta,
• Periodo dell’anno e relativo acclimatamento della pianta,
• Presenza di neve,
• Presenza di vento,
• Fattori orografici e pedologici.
La durata dell’esposizione delle piante alle basse temperature è un fattore cruciale. Un conto è dover sopportare un “picco” di poche ore a -10°C, un conto dover resistere a temperature magari relativamente più elevate (es. -6°C), ma per molti giorni di seguito. Danni a foglie e rami di piccole dimensioni iniziano ad aversi se le temperature minime scendono al di sotto del -7°C per 8-10 giorni di seguito, mentre danni strutturali più seri (compromissione dei rami più grandi) sono possibili se la temperatura scende al di sotto dei -10°C per qualche notte. Temperature inferiori ai -13/-14°C, anche per poche ore, sono in genere estremamente pericolose in quanto possono danneggiare perfino il tronco delle piante adulte, compromettendo così l’intero albero.
In genere l’apparato radicale riesce sempre a sopravvivere (salvo a temperature inferiori ai -20°C) ed è, quindi, sempre possibile “rigenerare” la pianta allevando uno dei giovani succhioni che, dopo una gelata distruttiva, verranno prodotti dalla ceppaia. Questo è anche uno dei motivi per cui l’olivo non “spreca” energia per resistere al freddo prolungato, ma si “concentra” di più nel dover resistere al caldo: la pianta ha messo in conto che ogni 30/40 anni la parte aerea può subire danni dal freddo (o dagli incendi!), ma a quel punto si rigenera facilmente dalla ceppaia: non dimentichiamoci infatti che, in natura, l’olivo è un arbusto, siamo noi che con le potature lo forziamo a diventare un albero perché così è più facile da coltivare e dà frutti di qualità migliore.
Le piante di olivo, comunque, non sono provviste di termometro e cronometro in modo tale da decidere in maniera precisa quando farsi danneggiare dal tempo inclemente! Le temperature “soglia” vanno infatti analizzate anche alla luce di altri fattori. Il primo, per importanza, è senza dubbio l’umidità dell’aria: un elevato tasso di umidità relativa aumenta fortemente la sensibilità dell’olivo al freddo, tant’è che in genere gli oliveti vengono posizionati nelle zone di collina, poco nebbiose. La pianta sopporta certamente meglio una temperatura di -10°C con basso livello di umidità che una temperatura di -6/-7° con umidità elevata.
In caso di temperature negative e nebbia, infatti, si palesa il fenomeno della galaverna, cioè la deposizione di uno spesso strato di brina su rami e foglie che è particolarmente dannoso per l’olivo e, se duraturo nel tempo, può causare forti danni anche con temperature non eccessivamente gelide. A chi scrive, infatti, è capitato di vedere olivi completamente defogliati in pianura Padana dopo inverni non eccessivamente freddi, ma decisamente nebbiosi con ripetute gelate nell’ordine dei -5°C.
La presenza di neve è un altro parametro fondamentale: se da un lato la neve rappresenta un eccellente isolante (al di sotto della coltre nevosa la temperatura è costante intorno ai -1/-2°C indipendentemente dalla temperatura dell’aria) che può contribuire, se abbondante, a proteggere la pianta dal freddo eccessivo, dall’altro lato può causare la rottura dei rami e perfino delle branche principali nel caso sia presente in grande quantità. L’effetto benefico dovuto alle proprietà isolanti della neve, tuttavia, può rivelarsi del tutto effimero in presenza di parziale scioglimento diurno della neve che poi, di notte, tornando a congelarsi può acuire i danni dovuti alle basse temperature.
Anche il vento può essere un’arma a doppio taglio: se, da un lato contribuisce ad abbassare l’umidità dell’aria e a rimescolarne gli strati (impedendo che la temperatura scenda eccessivamente), dall’altro, se molto freddo, può velocizzare il processo di raffreddamento della pianta (anche le piante, come noi umani, possono soffrire l’effetto windchill!).
Il discorso sulle temperature fatto finora è valido solamente se la pianta è adeguatamente acclimatata, ovvero ha avuto il tempo di “abituarsi” al freddo, arrivando così “preparata” all’ondata di gelo. L’olivo è una pianta sempreverde e per questo non va mai in stasi vegetativa “completa” come fa una pianta caducifoglia.
Tuttavia, con l’abbassarsi progressivo delle temperature, in autunno, le piante di olivo modificano la propria fisiologia e induriscono i tessuti per resistere meglio al freddo. Inoltre trasformano parte dell’amido in zuccheri solubili (in modo tale da abbassare il punto di congelamento della linfa: un po’ come facciamo noi spargendo il sale) e riducono il contenuto idrico di foglie e rami. Se il freddo, tuttavia, arriva fuori stagione la pianta non è preparata e può subire danni anche con temperature superiori a quelle descritte in precedenza. Una situazione analoga si ha quando si verificano ondate di freddo improvvise dopo periodi eccezionalmente miti: l’olivo infatti riprende la sua attività vegetativa se la temperatura sale sopra i +16°C per almeno una settimana di seguito.
Un altro fattore decisivo per la resistenza dell’olivo alle basse temperature è la varietà. Solamente in Italia ci sono centinaia di diverse varietà di olivo che non si differenziano tra loro solo per la qualità dell’olio, ma anche per la resistenza alle malattie e alle avversità climatiche. Per limitarci alle varietà del nostro territorio, basti pensare che il Moraiolo è estremamente resistente alla siccità, alla mosca e al vento, ma ricade nel novero delle varietà di olivo che in assoluto sono più sensibili al freddo: per questi motivi viene coltivato solo in collina, dove d’estate è forte il problema della siccità e dove, in assenza di inversione termica, raramente le temperature scendono di molto sotto lo zero. Anche la varietà Frantoio ha una scarsa resistenza al freddo (ma si comporta meglio del Moraiolo), mentre decisamente resistente alle basse temperature è il Leccino che viene infatti utilizzato diffusamente nelle zone dei grandi laghi prealplini (Garda, Maggiore, Como, ecc.) come impollinatore delle varietà locali, a loro volta molto rustiche. Particolarmente resistente al gelo è la varietà, diffusa nella zona di Gualdo e Gubbio, denominata Nostrale di Rigali, che tuttavia mal si adatta a condizioni di elevata umidità, essendo stata selezionata nelle condizioni fredde, ma molto secche, dell’Eugubino-Gualdese. Non esiste tuttavia una varietà resistente a tutte le avversità in quanto se la pianta “spende energia” per resistere alla siccità estiva e per produrre un ottimo olio, come il Moraiolo, poi “non he ha più” per resistere anche al gelo invernale, e viceversa. La Nostrale di Rigali, se piantata in pianura (clima umido), evidenzia infatti grandi problemi agronomici e sanitari.Le varietà più resistenti al freddo tuttavia, potrebbero essere anche quelle più sensibili al gelo tardivo in quanto richiedono temperature più basse per la ripresa vegetativa e “ripartono” prima delle varietà meno resistenti alla fine dell’inverno, trovandosi così impreparate a un eventuale ritorno di freddo.
La resistenza dell’olivo al gelo, a parità di varietà, dipende anche dall’età della pianta: giovani esemplari possono subire danni anche a pochi gradi sottozero, mentre la resistenza di esemplari maturi è molto maggiore.
L’esposizione e la localizzazione dell’oliveto sono altri fattori decisivi per la resistenza delle piante alle basse temperature: le esposizioni a est sono in genere le più pericolose in quanto le piante sono soggette a forti sbalzi termici, ma ben più decisiva dell’esposizione è l’altitudine dell’oliveto.
A causa del ben noto fenomeno fisico dell’inversione termica, in assenza di vento e cielo sereno, in pianura si raggiungono temperature minime più basse rispetto alla media collina (vedi la Tabella 1), ecco quindi che è preferibile posizionare gli oliveti in zone poco soggette a tale fenomeno, soprattutto se si intendono utilizzare varietà sensibili al gelo come il Moraiolo. La maggior parte degli olivi secolari presenti nelle nostre zone, infatti, si trova al di sopra dei 400 metri, nelle zone prive di inversione termica, dove le temibili gelate del 1929, 1956 e 1985 (che danneggiarono fortemente l’olivicoltura di tutte le regioni italiane) non hanno fatto danni rilevanti.
Anche la struttura del terreno può giocare un ruolo decisivo: le piante localizzate su terreni poco profondi, ricchi di scheletro e con substrato roccioso resistono molto meglio al freddo in quanto la carenza d’acqua, oltre a indurre più facilmente la pianta al riposo vegetativo, limita l’accumulo di liquidi nel tronco e nelle foglie.
Chi legge si starà chiedendo, giunti a questo punto, “ma il freddo dei giorni scorsi avrà fatto danni?” La risposta, alla luce di quanto esposto finora è “probabilmente no”, in quanto il freddo, seppur molto intenso, è stato di breve durata e ci si è avvicinati a temperature “critiche” (-10°C) solamente nelle zone di pianura, in aperta campagna, e per pochissimo tempo. Ciò non toglie che l’episodio freddo sia stato comunque notevole e che possa aver causato dei danni nelle zone soprattutto pianeggianti e nei giovani esemplari. Va comunque ricordato che gli estremi termici raggiunti nel 1929, 1956 e 1985 non sono stati neanche lontanamente avvicinati e la durata di questa ultima ondata di gelo (2/3 giorni) è stata sensibilmente minore rispetto a quella degli eventi catastrofici di cui sopra.
Nella maggior parte dei casi, quindi, i danni (se presenti) dovrebbero limitarsi ai giovani rametti dello scorso anno, uno scenario che avrebbe ripercussioni sulla produzione 2018, ma che si risolverebbe con una potatura un po’ più energica del solito. Il freddo intenso, tuttavia, potrebbe anche aver avuto un effetto positivo in quanto – è stato osservato in passato – che le temperature molto basse possono causare una forte induzione a fiore delle gemme (l’olivo “decide” in primavera quali gemme devono generare fiori e quali gemme devono generare nuovi rami e pare che il freddo invernale lo induca a produrre più fiori che nuovi rami).
L’altra (e spero ultima) domanda che il lettore si starà facendo riguarda, quasi certamente, la mosca, temibile parassita dell’olivo: “il freddo ci avrà fatto il favore di toglierla di mezzo?” La risposta, in questo caso, è un fragoroso “NO!” (nonostante le numerose “leggende metropolitane” sull’argomento). Il freddo contribuisce certamente a uccidere gli esemplari adulti della mosca (quelli che possono continuare a svolazzare per tutto l’inverno se le temperature lo consentono) e le larve rimaste dentro le olive non raccolte, ma nulla può contro gli esemplari che svernano, tranquilli e beati, allo stadio di pupa nel terreno. A loro, quella mezz’ora passata a -10°C mercoledì mattina (a maggior ragione se sotto un bello strato di neve “isolante”), ha fatto un baffo. Per limitare l’insorgenza della mosca possiamo quindi solo sperare nel caldo e nella siccità estivi, veri fattori limitanti dell’insetto che depone le uova solo con temperature inferiori ai +28°C ed elevata umidità dell’aria.
Autore: dr. Giulio Mela. Fonte: http://www.folignometeo.it/2018/03/03/il-freddo-e-lolivo-riflessioni-sulle-gelate-di-fine-febbraio/

2 Marzo 2018 – Freddo, neve e gelicidio. Quanti danni all’olivo?
Tre fenomeni meteorologici si sono abbattuti sull’Italia olivicola negli ultimi giorni. Freddo, neve e gelo hanno provocato dei danni, diversi, la cui entità potrà essere interamente valutata solo tra qualche settimana. Interessata soprattutto la fascia adriatica e quella appenninica, con potenziale compromissione del prossimo raccolto.
L’effetto Burian si è fatto sentire sull’Italia agricola e anche su quella olivicola.
In pochi giorni si sono susseguiti tre fenomeni meteorologici che, separatamente e insieme, hanno creato danni e problemi negli oliveti.
Soprattutto l’ultimo fenomeno in ordine di tempo, il gelicidio, ha creato i maggiori problemi in campo, senza possibilità di difesa per gli olivicoltori.
Esaminiamo questi fenomeni e cerchiamo di comprendere il loro impatto sull’olivicoltura italiana.
Freddo
Burian è passato portando temperature gelide ma, nella stragrande maggioranza dei casi, non letali per piante adulte.
Danni sensibili si sono verificati su nuovi impianti, messi a dimora a ottobre-novembre o persino qualche settimana fa, specie se sono state utilizzate piantine di un anno di età (di solito 50-60 centimetri) scarsamente lignificate e quindi più soggette al freddo. In questo caso la sensibilità e tolleranza varietale è ininfluente sul risultato finale. E’ infatti bene ricordare che i diversi tessuti dell’olivo hanno diverse tolleranze al freddo. Se gemme non quiescenti e mignole già non resistono a temperature intorno allo zero, i tessuti verdi (foglie e giovani rametti) manifestano danno a temperature di -4/-5 gradi, i tessuti lignificati soffrono quanto la temperatura scende a -8/-10 gradi per periodi lunghi, mentre sono letali anche per l’apparato radicale temperature di -12/-15 gradi, se protratte per molte ore.
In quasi tutta Italia le temperature minime abbondantemente negative, ovvero inferiori a -5 gradi, benchè ripetute per due nottate, sono durate per poche ore e il danno per gli olivi è spesso stato minimo o nullo, avendo la pianta la capacità di compensare l’eventuale perdita di gemme a fiore con la differenziazione di nuove in aree della chioma che non hanno subito il danno.
Diverso solo il caso di olivi potati da poco, specie se non in stasi vegetativa. Nel caso di tagli importanti non cicatrizzati, in particolare qualora il flusso di linfa non fosse minimale, vi possono essere stati danni, ancora non rilevabili, ai vasi xilematici. Ovvero porzioni di questi possono essere “scoppiati”, similmente a quanto fa un tubo dell’acqua, con la conseguenza di non riuscire più a portare sufficiente linfa ai tessuti sovrastanti. Generalmente, alla ripresa vegetativa, si noterà un forte riscoppio vegetativo sotto al punto di danno e una debolezza e scarso rigoglio vegetativo sopra.
Neve
La neve può causare due generi di danno all’olivo: meccanico, con rotture e scosciature, e di gelo se perdurante per molti giorni.
In generale la neve è caduta copiosamente solo sulla fascia adriatica centrale e sugli appennini mentre altrove i fiocchi sono durati solo qualche ora sulle piante.
Si può escludere che la neve possa causare, anche visto il rialzo termico dei prossimi giorni, danni da gelo ai tessuti, per cui sarebbero necessari molti giorni. Infatti la neve, posandosi sui tessuti, provoca una risposta fisiologica che induce una maggiore concentrazione salina e di zuccheri nella linfa e nell’acqua intra ed extra cellulare presente nella pianta, che così può resistere per alcuni giorni. Oltre tale periodo si avranno danni da gelo.
Le uniche piante su cui la neve può aver provocato danni irreparabili sono i nuovi impianti, piantumati a ottobre/novembre, laddove i tessuti non lignificati possono essere maggiormente suscettibili ai danni da gelo/freddo.
I danni meccanici dovuti alle nevicate dei giorni scorsi hanno invece riguardato prevalentemente piante malate, laddove carie o altre patologie hanno intaccato la struttura portante dell’albero, piante con un eccesso di chioma, laddove la neve posandosi ha provocato un carico insostenibile per la branche o il ramo, branche e/o rami eccessivamente orizzontali che il peso della neve ha contribuito a rompere.
Gelicidio
Si tratta di un fenomeno sufficientemente recente per l’Italia, anche se sempre più diffuso. Consiste in una pioggia e/o umidità ghiacciata che va a cadere o a posarsi sulla pianta in tempi molto brevi, provocando un grave shock termico.
Spesso tale pioggia e/o umidità ghiacciata, infatti, presenta temperature ben inferiori a quelle della neve e risulta letale per i tessuti verdi della pianta.
Il gelicidio provoca vere e proprie ustioni da freddo. Si tratta di uno shock da contatto che è letale per i tessuti verdi.
Il danno è visibile di solito immediatamente dopo che tale strato di ghiaccio si scioglie, con la comparsa dei segni evidenti dell’immediata necrosi delle foglie, che diventano gialle/marroncine, e con sintomi simili anche sui giovani rametti dove si possono evidenziare anche spaccature o crepe. La funzionalità di tali tessuti è compromessa e, dato che di solito si tratta dei rami di un anno di età, sarà compromesso anche il raccolto dell’annata.
Se per freddo e neve gli olivicoltori possono prendere misure precauzionali, entro limiti ragionevoli, come utilizzare varietà tolleranti alle basse temperature, non potare o concimare durante l’inverno e equilibrare chioma e struttura della pianta per evitare danni meccanici, contro il gelicidio, purtroppo, è impossibile qualsiasi attività preventiva.
Falò negli oliveti, il passaggio degli atomizzatori per muover l’aria, irrorare acqua e sale o trattamenti di rame, oltre a essere soluzioni onerose, hanno un’efficacia limitata e assai discutibile.
Attualmente, salvo per i danni meccanici evidenti, è impossibile stabilire l’entità delle conseguenze del passaggio di Burian sull’Italia.
E’ già però possibile affermare che dei tre fenomeni che hanno interessato l’Italia, il gelicidio è quello che ha fatto maggiormente male all’olivicoltura italiana.
Fonte: http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/25685-freddo-neve-e-gelicidio-quanti-danni-all-olivo.htm

9 Marzo 2018 – Intervenire dopo i danni da freddo su olivo: potatura o trattamenti?
Solo dopo qualche settimana sarà possibile valutare il danno reale e pianificare la corretta potatura del legno pesantemente danneggiato. Da evitare l’utilizzo di concimazione azotata che andrebbe a spingere molto la vegetazione in caso di rialzo delle temperature, causando uno squilibrio della pianta. Quanta chioma si può salvare?
Olivi e freddo sono un binomio che non va proprio d’accordo, i cambiamenti climatici con inverni in generale meno rigidi hanno anche permesso un’olivicoltura in zone sempre più a nord ed in quota, ma questo altalenarsi di eventi intensi ci sta creando situazioni sempre più complesse da gestire e non prive di picchi delle temperature in basso, come accaduto nelle settimane passate. Negli ultimi anni, di contro, abbiamo assistito a nevicate e a minimi termici sotto zero anche in aree del sud Italia, tipicamente con climi più miti.
In occasione di eventi simili la fantasia si sfoga e abbiamo potuto sentito frasi come: “passato il freddo gli faccio un trattamento fogliare con urea!” Bene, sediamoci e riflettiamo un po’.
Ci sono due principi operativi che ci devono guidare sia prima che dopo un evento avverso: cautela ed equilibrio.
Cautela nel come e quando eseguire le operazioni, perchè in realtà possiamo accentuare i danni già presenti, o eliminare legno non molto danneggiato, ed equilibrio perchè le azioni devono essere in sinergia tra loro e costantemente rivolte ad una equilibrata crescita e sviluppo della pianta ai fini produttivi.
Guardando la situazione, possiamo riassumere che le piante si possono trovare con danni di differente entità e grado, anche in funzione del reale freddo che hanno subito, eventualmente in combinazione con altri fenomeni quali nevicate e pioggia o umidità prolungata e stato vegetativo della pianta, che possono averne accentuato/attenuato gli effetti.
Danni leggeri alle foglie con cambiamento di colore e alterazioni della consistenza.
Danni per gradi dai rametti più piccoli, ai rami più grandi, alle branchette, alle branche e al tronco, mano a mano con l’aumentare dell’intensità del freddo e in combinazione con l’umidità.
Altri danni possono riguardare la corteccia ed i primi strati dei tessuti, oppure colpire il sistema vascolare dei rami e delle branche, i primi con danni facilmente recuperabili dalle piante ma che possono rappresentare le porte di accesso a malattie ed insetti, mentre i secondi sono più consistenti e profondi.
Le nevicate possono causare danni quali stroncature dei rami e/o branche, caso in cui non resta che tagliare per pulire il punto di rottura irregolare, là dove meglio si infiltra e si insediano acqua ed eventuali patogeni e parassiti. Attenzione a non tagliare troppo perchè eventuale ulteriore freddo potrebbe danneggiare il moncone; ancora meglio sarebbe proteggere i grossi tagli con mastice disinfettato.
Per scegliere cosa fare sarà importante non intervenire in modo avventato, ma ponderando bene la situazione e le soluzioni possibili, ancor più se le operazioni scelte non saranno reversibili, ad esempio un taglio importante lo posso posticipare di qualche settimana e valutare il reale danno che si manifesterà.
Se invece devo eseguire un trattamento con antistress, con biostimolanti o con prodotti rameici che devono solo avere le corrette condizioni di distribuzione per agire, si può intervenire più celermente.
Dopo qualche settimana sarà possibile valutare il danno reale e pianificare la corretta potatura del legno pesantemente danneggiato; appare evidente che dove era già stata effettuata la potatura, gli alberi saranno stati esposti a maggiori danni, e con meno vegetazione tra cui scegliere cosa valga la pena lasciare.
Risulta in generale auspicabile l’uso di concimazioni fogliari con effetti antistress che aiutino la pianta a riequilibrare le funzioni fisiologiche, e ad affrontare meglio la conclusione della stagione invernale.
Nelle situazioni in cui vi sono ferite sulla corteccia o rotture dei rami è auspicabile al rialzo della temperatura minima e massima effettuare un trattamento con prodotti a base di rame o con induttori di resistenza che contengano l’eventuale diffondersi della rogna.
Assolutamente da evitare in questa fase l’utilizzo di concimazione azotata che andrebbe a spingere molto la vegetazione in caso di rialzo delle temperature, causando uno squilibrio della pianta e spingendo alla differenziazione a legno delle gemme; inoltre, non è da sottovalutare una conseguente forte esposizione a rischi di danno in occasione di freddo tardivo, possibili sino a metà/fine aprile.
Un punto fondamentale è che per agire bene non è tanto importante pensare e programmare ma osservare e analizzare caso per caso, ramo per ramo e pianta per pianta, e solo dopo indirizzare il ragionamento su cosa sia meglio fare: “questo ramo è danneggiato, è secco, quindi cosa faccio? Lo disinfetto … lo riduco con una potatura leggera … o sono costretto a fare un taglio di ritorno?”.
E ricordiamoci che i danni sono già stati molti, più chioma riuscirò a salvare meglio sarà per la produzione futura, ed eventualmente sarò sempre in tempo nei prossimi mesi ad eliminare le eventuali parti che non sono riuscite a riprendere correttamente la vegetazione.
di Angelo Bo
Fonte: http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/25728-intervenire-dopo-i-danni-da-freddo-su-olivo-potatura-o-trattamenti.htm

23 Marzo 2018 – Biostimolanti, corroboranti e induttori di resistenza. Combattere il gelo si può
Si può intervenire con fonti energetiche adeguate per recuperare piante colpite da stress da freddo e con zinco, precursore del triptofano, amminoacido essenziale nella biosintesi delle auxine. Interventi al suolo e fogliari possono consentire il recupero celere le olivete che hanno subito, purtroppo , in molte zone di Italia un forte arresto vegetativo
Le temperature registrate nella quarta settimana del mese di febbraio 2018 ,in buona parte delle aree olivicole italiane del centro nord Italia, sono state al di sotto dei -6C° per una durata in molti casi , maggiore di 8 ore.
Il danno subito alle foglie dalle olivete situate entro i 10 chilometri dal mare tirrenico, soprattutto in giovani impianti, non deve essere confuso con quello già subito dal forte vento di libeccio, che nell’ultima settimana di gennaio aveva portato un grande aerosol marino ricco di cloruro di sodio a contatto della vegetazione, ragion per cui era stato suggerito di effettuare abbondanti lavaggi della vegetazione soprattutto nei nuovi impianti, con aggiunta di prodotti amminoacidici e biostimolanti contenenti alghe ad azione auxinica.
Nelle zone dell’entroterra il danno da freddo si è manifestato più intensamente, associato a fenomeni nevosi e su gli olivi i sintomi che ad oggi destano maggiore preoccupazione sono screpolature e fessurazioni della corteccia, associata a cascole fogliari consequenziali all’imbrunimento delle foglie, che probabilmente influiranno negativamente sulla differenziazione a fiore delle gemme.
Le osservazioni fatte negli ultimi giorni denotano che, anche la dove non siano presenti vere e proprie crepacciature e rotture della corteccia della pianta, esistono delle microlesioni della corteccia, possibili vie di ingresso per il batterio della rogna dell’olivo (Pseudomonas savastanoi), soprattutto favorito dalle abbondanti precipitazioni e dalle bagnature fogliari che stanno caratterizzando il periodo seguente la gelata.
A tal proposito si raccomandano trattamenti fogliari con forme rameiche quali idrossidi associati a pinolene, ossidi rameosi (facendo attenzione di non applicarle con temperature inferiori a 10 C°) e posticipate e separate , rispetto ad un altro intervento fogliare con formulati contenenti rame veicolato da peracidi, acido gluconico, unitamente a prodotti biostimolanti contenenti alghe e amminoacidi di origine vegetale (glicina, betaina) di più rapido assorbimento.
Esistono in commercio prodotti aventi come base l’acido folico (fosforo di origine vegetale) che sono un importante fonte energetica per recuperare piante colpite da stress da freddo.
Interessante in questa fase anche il ruolo dello zinco precursore del triptofano, amminoacido essenziale nella biosintesi delle auxine, che è suggerito includere nella miscela estemporanea.
L’apparato fogliare in alcuni casi tuttavia potrebbe essere compromesso, con cascola più o meno intensa delle foglie rendendo vano l’intervento fogliare, ecco allora alcuni suggerimenti oltre ai già citati interventi di potatura ricordati nell’articolo di un precedente numero di Teatro Naturale se dovessero presentarsi i seguenti casi :
1) Piante con foglie imbrunite o clorotiche e contemporanea presenza di impianto di irrigazione a goccia su terreno inerbito.In questo caso è utile intervenire dal mese di aprile con fertirrigazioni utilizzando prodotti a base amminoacidica , associati a prodotti a base dell’alga Eklonia maxima che ha un importante azione di stimolo sulla radicazione e sullo stimolo nell’assorbimento di sostanze minerali da somministrare per almeno 3 volte ogni 10/12 gg utilizzando in abbinamento un formulato quale 20/20/20 per fertirrigazione.
2) Sempre in presenza di un apparato fogliare ritenuto danneggiato e con possibili notevoli difficoltà di assimilazione di elementi nutritivi per via fogliare, in assenza di irrigazione e se dovesse essere ancora fatta la fertilizzazione al suolo, sarà utile dove possibile, effettuare una lavorazione del suolo,per favorire l’interramento del concime, l’arieggiamento e l’ingresso di aria calda , di stimolo ad una più rapida ripartenza all’attività radicale stessa. Per olivicoltura biologica, l’applicazione al suolo di fertilizzanti organici con buon contenuto amminoacidico, provenienti da matrici quali cuoi, pelli, pennone, potrà essere un interessante stimolo alla ripresa dell’attività radicale e consentirà una più rapida ricostituzione della chioma della pianta.
3) Dove si rendessero necessarie invece potature più drastiche, lo stimolo vegetativo dato dalla potatura dovrà essere equilibrato con concimi con azoto a medio lento rilascio limitando gli apporti iniziali, per non accentuare la fase giovanile del germoglio ma caratterizzato da un buon contenuto in fosforo e potassio per riequilibrare l’eccessiva spinta vegetativa che potrebbe aversi, se associata ad una primavera piovosa.
4) Infine si è osservato negli ultimi giorni come in olivete trattate nella scorsa estate (giugno) con prodotti corroboranti a base di calce/caolino e rame al 5% , utilizzato all’epoca con funzione anticascola e repellente per la mosca alla dose di (40/50 kg/ha), abbiano evidenziato una praticamente assenza di sintomi di danni da freddo in zone dove si sono registrate le temperature molto basse, oltre che un apparato fogliare esente da malattie fungine. Ciò dovuto probabilmente all’elevata adesività del rame associato a questo importante quantitativo di calce, che ha svolto la propria funzione antimicotica e antibatterica e che in combinazione con la calce stessa, ha aumentato anche lo spessore delle pareti cellulari e la concentrazione dei soluti all’interno della cellula, abbassando il punto crioscopico dell’acqua presente all’interno della cellula vegetale.
Un integrazione degli interventi fogliari con gli interventi suggeriti al suolo potrà consentire il recupero celere le olivete che hanno subito, purtroppo , in molte zone di Italia un forte arresto vegetativo.
In Toscana, nei nuovi impianti il danno maggiore lo hanno subito le varietà Pendolino e Maurino,se la sono cavata meglio, Frantoio, Leccino e Leccio del Corno.
Tuttavia, la bassa temperatura, se da una parte può essere causa di riduzione o danno allo sviluppo vegetativo dell’olivo, dall’altra, consente all’olivo una maggiore differenziazione dei boccioli fiorali, per cui le annate seguenti ad inverni freddi ( es. inverno 2012) sono normalmente annate ( es. 2013) caratterizzate da maggiori allegagioni.
di Paolo Granchi
Fonte: http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/25815-biostimolanti-corroboranti-e-induttori-di-resistenza-combattere-il-gelo-si-puo.htm
Un ramo con evidenti lacerazioni da gelo. Dopo la prima buttata primaverile ramo e foglie seccano

29 Marzo 2018 – Quando troppo azoto contribuisce a far cascare le foglie dell’olivo
La fertilizzazione azotata, normalmente, aiuta e stimola l’accrescimento vegetativo ma l’effetto può anche essere fortemente negativo quando l’olivo è sofferente di alcune patologie, tra le quali una delle più diffuse.
Il cicloconio, o occhio di pavone, è una delle malattie più diffuse dell’olivo oggi. Le infezioni sono favorite dalle piogge prolungate (2-3 giorni) o da un’elevata umidità dell’aria e da una temperatura ottimale di 12-15°C (con estremi da 4-5°C fino a 25°C).
Si può normalmente contrastare con adeguati trattamenti rameici che però vengono ormai effettuati sempre più raramente, lasciando l’olivo vulnerabile sia in primavera sia in autunno.
L’olivicoltore, comunque, ha sempre la possibilità di peggiorare la situazione, in presenza delle condizioni ideali per la diffusione della patologia fungina, attraverso abbondanti concimazioni azotate.
Una ricerca dell’Università di Cordoba ha messo in correlazione il contenuto di azoto e clorofilla con il livello di azoto e con l’intensità dell’attacco dell’occhio di pavone.
Per valutare queste correlazioni è stata utilizzata la cultivar iberica Picual, sensibile quanto la nostra Frantoio, utilizzando diversi concimi azotati a livelli crescenti.
Per accelerare il processo, le piante trattate con diversi livelli di azoto venivano inoculate artificialmente con una sospensione conidiale dell’agente patogeno.
Un aumento significativo della crescita dei germogli, della concentrazione di clorofilla e azoto nelle foglie, ma anche dell’incidenza delle malattie è stato osservato in piante sottoposte ad un elevata concimazione azotata.
In particolare, la fertilizzazione con livelli subottimali di azoto (calcolo fabbisogno + asportazioni) ha prodotto una riduzione dell’incidenza della malattia del 50%.
Questo studio dimostra che la gestione della concimazione con azoto può aiutare a ridurre lo sviluppo dell’occhio di pavone.
Bibliografia
L.F. Roca, J. Romero, J.M. Bohórquez, E. Alcántara, R. Fernández-Escobar, A. Trapero, Nitrogen status affects growth, chlorophyll content and infection by Fusicladium oleagineum in olive, Crop Protection, Volume 109, 2018, Pages 80-85, ISSN 0261-2194
di R. T.
Fonte: http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/25852-quando-troppo-azoto-contribuisce-a-far-cascare-le-foglie-dell-olivo.htm